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Lo scorso venerdì, una semplice pubblicazione su LinkedIn del presidente del GSE, Paolo Arrigoni, ha generato una vera ondata di perplessità tra operatori e potenziali beneficiari delle Comunità Energetiche Rinnovabili. Nel post, Arrigoni rilanciava il comunicato del MASE del 21 novembre, che annunciava la rimodulazione delle risorse PNRR destinate alle CER: dai 2,2 miliardi di euro inizialmente previsti si scende a 795,5 milioni.

Arrigoni ha poi aggiunto un dato significativo: il target dell’investimento M2C2 – 1.2, fissato a 1.730 MW, sarebbe stato addirittura superato grazie alle richieste arrivate al GSE, che ammontano a 1.759,7 MW, corrispondenti a 772,5 milioni di euro.

Da qui è nato il grande dubbio degli operatori:
abbiamo raggiunto un limite massimo di potenza o semplicemente completato il target previsto dal PNRR?

Le domande che tutti si stanno ponendo

Il raggiungimento dell’obiettivo significa che l’invio delle candidature si chiude prima del 30 novembre? Oppure chi non ha ancora presentato domanda può farlo comunque entro la scadenza, dato che risultano ancora disponibili circa 23 milioni di euro?

E ancora: cosa succede alle domande già inviate ma non finanziate? Il comunicato del MASE chiarisce che i progetti valutati positivamente ma esclusi per mancanza di fondi non saranno scartati: rimarranno “idonei” e potranno essere ripescati nel caso arrivassero ulteriori risorse.

Fonti interne al Ministero fanno sapere che nei prossimi giorni arriverà un chiarimento ufficiale. Nell’attesa, l’invito è quello di non interrompere il lavoro: chi ha sostenuto costi di progettazione è spinto a partecipare fino al 30 novembre. Se le risorse dovessero terminare — ipotesi molto probabile — le candidature andranno comunque in graduatoria in attesa di possibili integrazioni future, come avvenuto in altri bandi.

Un target già noto da mesi: 1,7 GW, non più 2,2 miliardi

Al di là della confusione comunicativa, gli addetti ai lavori sapevano già da tempo che il vero obiettivo del PNRR per le CER non fosse più legato al budget iniziale, bensì al raggiungimento di una determinata potenza installata: 1,7 GW entro giugno 2026.

Già a giugno, durante i Green Salina Energy Days, la direttrice del MASE Stefania Crotta aveva anticipato questa revisione: ciò che importa, aveva spiegato, è installare la potenza richiesta nei tempi imposti da Bruxelles, non spendere necessariamente tutti i 2,2 miliardi stanziati.

La stessa Crotta, a marzo, aveva illustrato al KEY un meccanismo semplificato per permettere la rendicontazione degli impianti pur in presenza dei tempi lunghi per le connessioni alla rete. Il limite temporale — 30 giugno 2026 — ha quindi imposto al Ministero di rivedere sia gli obiettivi in GW, sia il budget realmente necessario.

Risulta quindi comprensibile, almeno sul piano tecnico, la scelta di ridurre la dotazione a 795,5 milioni: con il contributo al 40% e con la finestra di presentazione domande aperta solo da luglio, era praticamente impossibile utilizzare l’intero pacchetto iniziale da 2,2 miliardi.

Regole che cambiano e comunicazioni poco chiare

Il nodo critico, però, non è (solo) la riduzione delle risorse, quanto il modo in cui è stata comunicata. Nessun annuncio ufficiale ha mai chiarito che, raggiunti i 1,7 GW, la misura sarebbe stata considerata chiusa.

Anzi: a inizio ottobre si era parlato di un taglio di circa un miliardo di euro, lasciando presupporre che rimanessero disponibili 1,2 miliardi. È su questo presupposto che gli operatori hanno continuato a progettare fino a oggi.

Solo negli ultimi giorni — durante l’Assemblea ANCI di metà novembre — circolavano rumors secondo cui le domande già arrivate totalizzassero 1,4–1,5 GW. Ma allo stand del GSE, riferiscono vari operatori, veniva confermato che tutto era “sotto controllo” e che si poteva proseguire serenamente fino al 30 novembre.

Il quadro reale, emerso all’improvviso, è molto diverso:
1,7 GW corrispondono a circa 795 milioni. L’obiettivo è stato superato. Le risorse residue sono limitate. E la scadenza resta il 30 novembre.

Le reazioni: fra ironia, amarezza e accuse

Sui social le risposte degli operatori sono durissime. Si parla di:

  • sconcerto e mancanza di affidabilità istituzionale;
  • regole cambiate in corsa, che compromettono programmazione e investimenti;
  • scarso rispetto del lavoro di comunità, consulenti e produttori.

C’è chi denuncia che il risultato finale sia quello di aver tutelato gli interessi delle grandi aziende energetiche:
“Se l’obiettivo era non toccare i dividendi delle due incumbent statali, è stato raggiunto alla perfezione”, scrive un utente.

E non mancano osservazioni puntuali sulla confusione normativa:

  • Il MASE parla di “almeno 1.730 MW”, che suggerisce una soglia minima, non un limite massimo.
  • Il sito del GSE segnala ancora la disponibilità di 2,2 miliardi, con possibilità di presentare domanda fino al 30 novembre 2025 o fino all’esaurimento delle risorse.
  • Ma nella stessa pagina si legge che al 20 novembre le richieste ammontano a 772,5 milioni, per 759,7 MW di potenza.

Infine, lo stesso Arrigoni, nei commenti al suo post, scrive:
“La scadenza del 30 novembre resta, ma leggere bene il comunicato MASE”.
Una frase che molti considerano tutt’altro che chiarificatrice.

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