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La transizione energetica passa anche dall’elettrificazione dei consumi e dall’uso sempre più diffuso di tecnologie digitali. In questo scenario, il tema dei campi elettromagnetici (CEM) torna spesso al centro del dibattito pubblico, non di rado accompagnato da dubbi, timori e informazioni parziali.

Per comprendere cosa sia realmente rilevante dal punto di vista scientifico e normativo, è utile distinguere tra fenomeni molto diversi, che vengono spesso accomunati in modo improprio. È quanto emerge dalla video-intervista a Vanni Lopresto, primo ricercatore ENEA ed esperto di campi elettromagnetici, che aiuta a fare chiarezza su esposizione, limiti di legge e progettazione degli impianti fotovoltaici.

Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: una distinzione fondamentale

I campi elettromagnetici sono generati dalle cariche elettriche e dal loro movimento. In base alla frequenza, possono essere classificati come ionizzanti o non ionizzanti.

Le radiazioni ionizzanti, come i raggi X o gamma, hanno un’energia tale da poter alterare la struttura atomica della materia. I campi elettromagnetici prodotti dagli impianti fotovoltaici, invece, rientrano nella categoria delle radiazioni non ionizzanti, la cui energia non è sufficiente a provocare questo tipo di danni.

Nel caso del fotovoltaico, le principali sorgenti di CEM sono gli inverter, che trasformano la corrente continua generata dai moduli in corrente alternata alla frequenza di rete (50 Hz). Oltre a questa frequenza, possono essere presenti armoniche fino a qualche decina di kHz, ma sempre all’interno dello spettro delle radiazioni non ionizzanti.

Effetti sulla salute: cosa è accertato e cosa no

Gli effetti dei campi elettromagnetici non ionizzanti sull’uomo sono ampiamente studiati. La letteratura scientifica ha individuato effetti acuti, che si manifestano solo al superamento di determinate soglie di esposizione.

Alle basse frequenze, come quelle tipiche degli impianti elettrici, gli effetti accertati sono di tipo non termico, legati alla stimolazione del sistema nervoso e muscolare. Salendo di frequenza, a partire da circa 100 kHz, iniziano a comparire anche effetti termici, dovuti al riscaldamento dei tessuti per assorbimento di energia elettromagnetica. Oltre i 10 MHz, gli effetti termici diventano predominanti.

Diverso è il discorso sugli effetti a lungo termine legati a esposizioni croniche a livelli inferiori ai limiti di legge: si tratta di un ambito ancora oggetto di ricerca, ma allo stato attuale non esistono evidenze scientifiche conclusive che dimostrino un nesso causale.

Anche nei grandi impianti fotovoltaici utility scale, sottolinea Lopresto, i campi generati restano non ionizzanti e non presentano le caratteristiche proprie delle radiazioni ad alta energia.

Il quadro normativo italiano ed europeo

In Italia, la tutela dall’esposizione ai campi elettromagnetici è disciplinata dalla Legge quadro n. 36 del 2001, che ha introdotto un sistema di limiti e criteri di protezione per popolazione e lavoratori.

I decreti attuativi principali sono i DPCM dell’8 luglio 2003, uno dedicato alle alte frequenze (da 100 kHz a 300 GHz) e l’altro ai campi elettrici e magnetici a bassa frequenza (fino a 100 kHz). Nel tempo, questi provvedimenti sono stati integrati e aggiornati da ulteriori interventi normativi.

Per i campi magnetici a 50 Hz, come quelli generati da elettrodotti e impianti elettrici, sono previsti:

  • un limite di esposizione di 100 microtesla per la popolazione, a tutela dagli effetti acuti;

  • un valore di attenzione di 10 microtesla, calcolato come mediana sulle 24 ore, per ambienti abitativi;

  • un obiettivo di qualità pari a 3 microtesla per nuovi elettrodotti e nuovi insediamenti sensibili.

Per i lavoratori esposti per motivi professionali si applicano invece i limiti della Direttiva europea 2013/35/UE, recepita in Italia con il D.Lgs. 159/2016. Questi valori, più elevati rispetto a quelli previsti per la popolazione, sono comunque progettati per prevenire gli effetti biofisici acuti e sono accompagnati da misure specifiche di tutela, formazione e sorveglianza sanitaria.

Fotovoltaico, distanze e progettazione

Nel contesto degli impianti fotovoltaici, il rispetto dei limiti normativi garantisce un livello di protezione adeguato anche in prossimità di installazioni di grande scala.

Le recinzioni degli impianti devono essere collocate a una distanza sufficiente dalle sorgenti di campo elettromagnetico – inverter, sistemi di accumulo, cabine e linee interne – affinché all’esterno del perimetro i valori restino entro i limiti previsti per la popolazione.

Negli impianti utility scale, con potenze di alcune decine di megawatt, queste distanze possono arrivare indicativamente a 10–15 metri, a seconda delle caratteristiche progettuali.

La progettazione assume quindi un ruolo centrale: serve non solo a garantire il rispetto delle distanze di sicurezza, ma anche a valutare correttamente l’esposizione all’interno dell’impianto e lungo le connessioni alla rete. Tutti aspetti che vengono analizzati già in fase autorizzativa.

Una progettazione accurata riduce le interferenze, facilita il rispetto delle norme e contribuisce a rendere più fluido l’iter di approvazione.

Informare con rigore, senza allarmismi

Come ricorda Lopresto, è fondamentale comunicare questi temi in modo corretto e trasparente. La normativa vigente, infatti, adotta criteri cautelativi, fissando limiti molto inferiori alle soglie alle quali si manifestano effetti potenzialmente dannosi per la salute.

In sintesi, le regole esistono e, se applicate correttamente, offrono una protezione efficace sia per la popolazione sia per i lavoratori, anche in presenza di grandi impianti fotovoltaici. La conoscenza scientifica e una buona progettazione restano gli strumenti più solidi per affrontare il tema con consapevolezza, evitando inutili allarmismi.

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